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La nuova frontiera delle Corti Commerciali Internazionali, anche Milano in marcia?

20/01/2023 16:18

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OSSERVATORIO,

La nuova frontiera delle Corti Commerciali Internazionali, anche Milano in marcia?

Con decreto della Ministra della Giustizia del 22 marzo è stata istituita una Commissione per l'elaborazione di un progetto di Codice dei Crimini internazionali

La nuova frontiera delle Corti Commerciali Internazionali, anche Milano in marcia?

 

 

 

 

 

Tra gli effetti della “Brexit”, legati al ruolo di predominante attrattiva che le corti britanniche esercitavano nel contesto del contenzioso internazionale, grazie anche alla facilità di circolazione delle sentenze di quei tribunali garantita dalla partecipazione di Londra all’Unione europea, vi è stata senz’altro l’accelerazione di processi “competitivi” tra ordinamenti volti ad attirare presso le proprie Corti una più larga fetta possibile del contenzioso del commercio internazionale.

Nel 2018, Francia e Germania hanno istituito nuovi tribunali commerciali internazionali a Parigi (l’International Chamber of the Court of Appeal of Paris e l’International Chamber of the Commercial Court of Paris in primo grado) e Francoforte (la Frankfurt Chamber for International Commercial Disputes). Altre città tedesche, come Stuttgart, Mannheim ed Hamburg nella prospettiva federale di quel sistema, sono seguite nell’istituire delle “english-speaking commercial courts”, vale a dire Tribunali che offrono la possibilità alle parti di una controversia di carattere internazionale di optare per l’inglese come lingua della fase orale del processo. In Olanda, dopo una lunga gestazione iniziata nel 2014, l’uno gennaio 2019 è stata costituita la Netherlands Commercial Court di Amsterdam , tribunale che offre alle parti un processo ad hoc, interamente nella lingua di Shakespeare, dalla sua fase introduttiva sino alla sentenza. Segno peraltro che lo distingue dalle attuali esperienze francesi e tedesche, nelle quali la produzione degli atti e soprattutto la sentenza viene resa in lingua nazionale (salva naturalmente una traduzione della stessa).

Anche in Belgio si stava lavorando da tempo all’introduzione di un tribunale commerciale internazionale poi naufragato. Peraltro con tratti particolarmente innovativi dal momento che affiancava nel suo disegno di legge del 2018, ad un procedimento interamente in inglese, regole di procedura mutuate dall’ UNCITRAL Model Law on International Commercial Arbitration. Tratto quest’ultimo che rendeva plastica conferma dell’inevitabile processo di ibridizzazione di queste nuove esperienze rispetto al fenomeno arbitrale per le spinte “concorrenziali” comuni alle dinamiche ispiratrici di entrambe le dimensioni.

Sarebbe infatti riduttivo circoscrivere ai confini europei quanto descritto che ha ben più ampia e risalente matrice ben fotografata da un pregnante titolo di un articolo pubblicato nel 2019 nel Yale Journal of International Law, “The Adjudication Business” (Pamela Bookman https://papers.ssrn.com/sol3/ papers.cfm?abstract_id=3338152). Ciò identificando lo sforzo delle più evolute economie planetarie di collocare il proprio sistema giuridico, rectius, specifiche corti di quel sistema plasmate a quel precipuo fine, quali servizi, “merci” si legge in alcuni articoli sin dal 1979 ( ad es. Adjudication as a Private Good’ di Landes and Posner, 8 Journal of Legal Studies 235 (1979)), da collocare in un potenziale mercato mondiale della giustizia, offrendo quanto possa essere percepito, da un qualificato “consumatore”, quale il miglior sistema possibile di soluzione delle controversie.

Per tale motivo, negli EAU, Dubai aveva strutturato già nel 2004, presso il Dubai International Financial Centre, una Corte ad hoc capace di amministrare a richiesta delle parti giustizia interamente in inglese, seguita dal Qatar nel 2009 e Abu Dhabi nel 2015. Nello stesso anno e precisamente il 5 gennaio 2015 ha iniziato ad essere operativa la Singapore International Commercial Court, istituzione concepita dal governo di quel paese per rafforzarne il ruolo di importante centro arbitrale che la città stato aveva nella regione asiatica. Ciò a conferma di una logica di sistema che ha mosso molte iniziative di tal fatta le quali hanno concepito queste nuove corti all’interno di un più ampio “cluster” legale da promuovere nel suo complesso. Intuitive le ragioni. Il mercato dei servizi e quello dei servizi legale in particolare in un’epoca di globalizzazione riveste una incrementale incidenza sul PIL delle economie moderne. La mente va immediatamente a paesi come Regno Unito (32 miliardi di sterline il fatturato delle 9.800 UK law firms nel 2021 che incidono per il 3% sul valore aggiunto lordo di quel paese, fonte PWC) o Stati Uniti, il primo “produttore” mondiale di servizi legali.

Solamente in parte in ragione dei robusti argomenti economici citati -e per concludere questa breve panoramica- anche la Cina si è mossa nella medesima direzione. Qui in verità appare predominante l’obiettivo della potenza asiatica di sedare le preoccupazioni della comunità degli investitori internazionali in ordine all’applicazione della rule of law in quel paese. Con l’idea allora di allestire un segmento del suo sistema giuridico offrendo ai potenziali fruitori maggiore autorevolezza, competenza ed indipendenza sono nate nel 2018, nelle città di Shenzen e Xi’an, le “China International Commercial Courts”, sezioni territoriali istituite dalla Supreme People's Court of the People's Republic of China. Corti appunto specializzate nel commercio internazionale aventi una missione di supporto alla strategia cinese della “Bell & Road initiative”. Nel dicembre 2021 ha invece iniziato da operare la Beijing International Commercial Court, quale sezione specializzata nelle controversie internazionali del Tribunale di primo grado di quella municipalità e con competenza specifica anche sull’impugnazione dei lodi pronunciati dalla China International Economic and Trade Arbitration Commission (“CIETAC”). Sebbene deve evidenziarsi che tutti questi nuovi organi giurisdizionali amministrino giustizia in mandarino –salva la possibilità delle produzioni documentali in inglese- e consentano l’esclusiva difesa tecnica di avvocati cinesi, non di meno essi si ascrivono a pieno titolo nel solco del mega trend in esame condividendone molti tratti. Il primo dei quali l’attenta selezione dei Giudici sulla base di una loro specializzazione e capacità linguistica.

E in Italia ? A porre rimedio all’assenza di ogni dibattito nel nostro paese ci ha pensato la Camera degli Avvocati internazionalisti che ha iniziato a lavorare ad una proposta italiana concependola quale percorso a tappe di un viaggio che non sarà certo breve –ed anzi come insegna l’esperienza Belga verosimilmente accidentato- ma che è tuttavia iniziato. Nel recente convegno internazionale da essa organizzato a Milano, in cui sono stati invitati, oltre ai più diretti stakeholders (magistrati ed avvocati in primis), alcuni giudici di queste Corti già attive in Europa, si è discusso di una via italiana che passa attraverso un disegno di legge volto all’introduzione, in una prima fase, di una sezione specializzata nei Tribunali di Milano e Roma, che a procedura invariata rispetto al rito ordinario (quella risultante dal processo di riforme in atto), possa avvalersi di Giudici con specifiche competenze linguistiche che gli consentano la trattazione del giudizio di primo e secondo grado in inglese (nella sua fase orale e scritta).

Il varo di tale sezione richiederà un intelligente disegno dei suoi confini. Le sue competenze infatti non possono sovrapporsi senza residui con quelle delle attuali sezioni imprese -istituite dall’art. 2 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27- per l’immediato motivo che il contenzioso del commercio internazionale e dei contratti finanziari e bancari cross-border, materia prevalentemente trattata da queste Corti nel mondo, non rientra tra le attribuzioni delle dette 23 sezioni. Confini che se da un lato, nella detta embrionale proposta, sono tracciati in primo luogo dalla volontà delle parti, che scelgono lo specifico tribunale e la lingua (che non potrà dunque essere imposta), non potranno essere eccessivamente ampi a sacrificio delle istanze di specializzazione del giudicante. Tali istanze hanno infatti costituito, lo si è accennato, una evidente spinta nelle esperienze estere all’introduzione di queste Corti. Il trend è peraltro ben noto e consolidato anche nel nostro ordinamento che ha conosciuto un fiorire negli ultimi decenni di numerosi tribunali con competenze specifiche (lavoro, famiglia, minori, imprese per nominarne alcuni).

Il progetto, elaborato da un comitato della detta Camera, presieduto dal prof Fausto Pocar e di cui è parte chi scrive, rinvia poi ad una sua seconda fase il varo di una riforma procedurale ad hoc per questo tipo di cause. Questa rappresenta infatti un’importante leva competitiva di tali esperienze che tendono appunto a

porsi dalla prospettiva dei fruitori (gli avvocati) per disegnare il più attrattivo dei processi. Non a caso in molte esperienze (Amsterdam, per esempio) si sono prese le mosse nel definire i tratti della riforma da vere e proprie analisi di mercato commissionate a note società di consulenza. In esse emergeva, direi intuitivamente, come la lingua non fosse il solo elemento decisivo la scelta della giurisdizione pur essendone una condizione rilevante. Tempi, prevedibilità degli esiti, costi, regole istruttorie che privilegiano la istanze di giustizia sostanziale, autonomia delle parti accanto a competenza ed autorevolezza del giudicante emergevano quali decisivi “selling points” da considerare.

Nel detto convegno il presidente del Tribunale f.f. di Milano, dr. Fabio Roia ed il presidente della Corte di Appello, dr. Giuseppe Ondei, nei loro interventi, hanno prestato pieno sostegno all’iniziativa. Il Tribunale di Milano, nella persona del suo presidente, è andato però ben oltre. D’intesa con la Camera ha proposto l’inizio di una fase sperimentale che ha ufficialmente fatto uscire il dibattito italiano dalla sua dimensione meramente accademica. La Camera Internazionale ed il Tribunale lavoreranno ad un protocollo, appunto sperimentale (sulla base di quanto già accaduto a Parigi) che, a legislazione costante consenta, da subito,nell’attuale sezione imprese e segnatamente nelle prime ipotesi di lavoro nella sua articolazione che tratta la proprietà intellettuale e l’antitrust, l’uso della lingua inglese per la parte orale della procedura e nelle produzioni documentali. Milano, dunque, con il sostegno delle sue istituzioni locali , Comune ed Ordine degli avvocati patrocinatori del citato convegno, è in cammino. Confidiamo che gli altri attori istituzionali e della società civile a cominciare dal mondo delle imprese, prime beneficiarie di una tale innovazione, si uniscano nel viaggio.

 

Salvatore Domenico Zannino

Vice-Coordinatore della Camera Internazionale.

 

Fonte: NT+ Diritto - Norme e Tributi plus - Il Sole 24 ore 

 

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